viernes, 25 de noviembre de 2011

LA LITURGIA: UN’ARTE “VIRTUOSA”


    «Non abbiamo ancora recepito sufficientemente che la Chiesa annuncia soprattutto quando celebra: la celebrazione è l’annuncio più completo perché realizza ciò che proclama» (P. Borselli). Parole chiare e severe che giungono in primo luogo a coloro che sono chiamati alla presidenza della liturgia. Celebrare “in spirito e verità” dipende innanzi tutto da chi ha il compito - mai facile e comunque sempre perfezionabile - di presiedere: vescovo, presbitero, diacono, religioso/a ed anche laico/a. «Vi chiedo scusa - disse ai fedeli al termine della Messa un vescovo che l’aveva celebrata e presieduta assai bene - per le scorrettezze liturgiche eventualmente da voi osservate. Anch’io, quando non celebro, osservo i sacerdoti celebranti e ne rilevo i difetti!». A proposito dell’osservare i preti celebranti, capita di sentire qualcuno: «Quel prete dice bene la Messa», «Mi colpisce il modo tranquillo ed espressivo col quale proclama il Vangelo», «Perché il nostro Don non canta durante la Messa?» (ma… se fosse ‘stonato’?!). Anni fa, a noi seminaristi veniva detto: «La casa del sacerdote ha le pareti di vetro: tutti ci guardano dentro». Metaforicamente, questo vale anche per il suo modo di celebrare e di presiedere le azioni liturgiche. Al di là di critiche o di osservazioni superficiali, c’è un buon senso della fede - e della liturgia - che accompagna con esigenza la partecipazione alla preghiera della Chiesa.

I LAICI PER LA LITURGIA


            Dedichiamo qualche parola ai ministeri liturgici laicali. Della loro importanza si è parlato (e si deve parlare ancora di più) sia per la crescente mancanza di clero che, innanzi tutto, per la natura ‘sacerdotale’ propria dei laici in ragione del sacerdozio comune o battesimale. In causa sono chiamati i gruppi liturgici parrocchiali, le commissioni liturgiche decanali e tutti gli animatori della parola e della musica nella liturgia, che devono ricevere e si devono dare una costante premura formativa. Come di un fuoco che tende ad affievolirsi o a spegnersi se non persistentemente alimentato, così avviene dell’animazione e della stessa vita liturgica nelle assemblee e nelle comunità cristiane, se “cede” la formazione degli animatori a tutti i livelli e in tutti i ruoli: lettori, commentatori, cantori, direttori di coro, strumentisti, addetti all’accoglienza e al servizio, ministri straordinari della comunione eucaristica. 

IL «NON VERBALE» NELLA LITURGIA


            Quello che i Vescovi hanno detto alla Chiesa italiana, raccomandando una liturgia «seria, semplice e bella», è riassumibile in due parole: la solennità della semplicità. Proseguendo nelle nostre chiacchierate sul celebrare, vogliamo dare uno sguardo a ciò che fa da sfondo - per così dire - e da sostegno alle parole e ai gesti, che delle celebrazioni liturgiche costituiscono il fondamento: il “verbale” non può fare ameno del “non verbale”, in una solenne semplicità o, se si preferisce, in una solennità semplice. Tanto ci sarebbe da dire sul luogo, sull’arredo ed anche sull’abito nella liturgia: ben altro e ben meglio c’è da esporre su questi ‘segni’ e su questi temi; qui ci limitiamo al «qualcosa» su un insieme di elementi che, ordinati e coordinati con arte (anche questo fa parte dell’arte del celebrare) siano in grado di ‘dire’ e di ‘veicolare’ il Mistero celebrato.

RITO AMBROSIANO

La centralità dell'opera di Sant'Ambrogio per la Chiesa di Milano
Tra i tesori lasciati in eredità dai Padri, anche il rito liturgico chiamato per l’appunto “ambrosiano”: una particolare modalità con la quale la Chiesa di Milano celebra e rivive il mistero di salvezza. Molte particolarità risalgono proprio ad Ambrogio e ancor oggi, dopo milleseicento anni, si sono fedelmente conservate.
Papa Gregorio Magno in una lettera al clero di Milano del settembre dell’anno 600, confermando l’elezione del nuovo Vescovo appena avvenuta, lo definiva significativamente non tanto come successore, bensì come vicario di sant’Ambrogio. Veniva così in un certo senso rimarcata, proprio dall’autorità del pontefice romano, quella connessione strettissima tra la Chiesa di Milano e il suo patrono, quasi che fosse sempre lui, Ambrogio, a reggere il governo pastorale del suo popolo attraverso dei Vescovi che gli sarebbero succeduti lungo i secoli.

LE VESTI LITURGICHE SECONDO RATZINGER

Qualche tempo fa ha provocato una certa divertita perplessità in ambito giornalistico il fatto che la rivista statunitense "Esquire", nel suo annuale riconoscimento ai personaggi che incarnano l'epitome dell'eleganza, abbia indicato Benedetto XVI come l'uomo che meglio sceglie i suoi accessori di abbigliamento. Questa scelta, di una frivolezza molto caratteristica di un'epoca che tende a banalizzare ciò che non comprende, è avvenuta in un momento in cui Benedetto XVI aveva suscitato un'attenzione mediatica senza precedenti nel riprendere alcuni indumenti di radicata tradizione papale come il camauro, un copricapo invernale di velluto rosso bordato di ermellino, o il "saturno", un cappello a tesa larga che era già stato largamente utilizzato da alcuni suoi predecessori, come Giovanni XXIII.