domingo, 27 de noviembre de 2011

ADVIENTO

                                SUMARIO:
I.     Historia y significado del adviento.
II.  Estructura litúrgica del adviento en el misal de Pablo VI.
III.             Teología del adviento.
IV.             Espiritualidad del adviento.
V.  Pastoral del adviento.

I. Historia y significado del adviento
Son dudosos los verdaderos orígenes del adviento y escasos los conocimientos sobre el mismo. Habrá que distinguir entre elementos relativos a prácticas ascéticas y otros de carácter propiamente litúrgico; entre un adviento como preparación para la navidad y otro que celebra la venida gloriosa de Cristo (adviento escatológico). El adviento es un tiempo litúrgico típico de Occidente; Oriente cuenta sólo con una corta preparación de algunos días para la navidad.


LA VISION DE LA ESCALERA DE JACOB

TEXTO: Génesis 28:12-14 “Y soñó: y he aquí una escalera que estaba apoyada en tierra, y su extremo tocaba en el cielo; y he aquí ángeles de Dios que subían y descendían por ella. Y he aquí, Jehová estaba en lo alto de ella, el cual dijo: Yo soy Jehová, el Dios de Abraham tu padre, y el Dios de Isaac; la tierra en que estás acostado te la daré a ti y a tu descendencia. Será tu descendencia como el polvo de la tierra, y te extenderás al occidente, al oriente, al norte y al sur; y todas las familias de la tierra serán benditas en ti y en tu simiente.”
Propósito específico: Afirmar nuestra fe en el hecho de que la comunicación y toda bendicion espiritual entre Dios y los hombres, entre el cielo y la tierra es posible por medio de Jesucristo ¡La escalera de Jacob!.

CELEBRANDO COL CORO

     Or sono molti anni fa, nel 1877, in una piccola parrocchia lombarda venne costituita la «Società dei dilettanti di canto sacro», sotto l’immediata direzione del Parroco a cui i membri dovevano prestare obbedienza: nessuno poteva essere ricevuto nella Società senza la sua previa approvazione. Ecco uno stralcio del regolamento: «Tutti i membri della Società sono tenuti a intervenire ogni volta, così alla istruzione  come al canto in Chiesa o in processione, fuori del caso di malattia o di assenza dal paese per lavoro. Siccome troppo disdirebbe che un Cristiano, il quale ambisce di lodare Dio in Chiesa lo disonorasse poi fuori Chiesa, perciò i membri della società si obbligano in modo speciale a schivare il vizio della bestemmia (…), osservando le regole adottate dall’Associazione Cattolica contro la bestemmia». Udite poi quanto segue: «Ogni socio paga: a) All’atto di entrare nella Società L. 1; b) Per ogni giorno festivo di precetto, se adulto Centesimi 10, se fanciullo Cent. 5. Ogni socio che manca all’istruzione pagherà ogni volta Centesimi 15; mancando di intervenire al canto in Chiesa L. 1. I ragazzi pagheranno la metà. (…) È in potere del Parroco licenziare ed escludere dalla Società qualunque socio che con una condotta cattiva se ne rendesse indegno». Si suol dire: “Altri tempi!», ma è bene ritornarci per guardare con occhi giusti ad una realtà importante come il coro, piccolo o grande che sia, al servizio della partecipazione alle celebrazioni e della liturgia; di una liturgia “bella”, come? «Una liturgia bella non può essere definita - come sovente si pensa - “una bella funzione”, ma deve essere compresa come liturgia munita di quella bellezza che fa apparire la grazia di Dio. Una liturgia munita di bellezza non va a cercare aggiunte, decorazioni, ornamenti, pizzi da noi apposti, non si nutre di fasto, né abbisogna di ieraticità: (…) la bellezza della liturgia è quella di azioni, di gesti ‘umanissimi’, ‘reali’, strappati alla banalità, alla routine e resi eloquenti, carichi di significato; è la bellezza della materia chiamata, convocata a una trasfigurazione» (E. Bianchi). Quale il contributo del Coro a questa liturgia “bella”?

CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA

      «Nella nostra liturgia la parte di Cristo è così talmente reale, viva, presente e preponderante che, in fondo, non vi è nel mondo che un unico liturgo: Cristo, e un’unica liturgia: quella di Cristo (C. Vagaggini). È un’affermazione lapidaria che ci rimanda al rito liturgico attraverso il quale passa l’azione dell’“unico liturgo”. La domenica è il giorno che accoglie l’Eucaristia, il rito liturgico per eccellenza. Perciò, come già altri hanno fatto, anche noi osiamo proporre un decalogo per l’animazione della Messa della domenica. L’Eucaristia celebrata offre una varietà di elementi che hanno sempre bisogno di essere meglio compresi e di essere fatti comprendere, a partire da una saggia programmazione: annuncio, parola, musica, gesti e movimenti, sussidi e decorazioni come collegarli armonicamente e ‘realizzarli’ in autenticità liturgica? Possiamo evidenziare dieci attenzioni o atteggiamenti, da curare e da verificare con quel «rinnovato coraggio pastorale» di cui parlava Giovanni Paolo II.

LA MUSICA NELLA LITURGIA

          Se ‘ritornasse’ S. Agostino ed entrasse in una delle nostre chiese per partecipare alla Messa domenicale, quali canti - e come eseguiti - sentirebbe? Chissà se ne rimarrebbe commosso, così da ripetere le parole che leggiamo nelle sue Confessioni: «Mi ricordo le lagrime che versai ascoltando i canti della tua Chiesa al principio della mia conversione, e osservo che anche adesso sono commosso non dal canto ma dalle cose che si cantano, quando sono cantate con voce chiara e adattissima modulazione: riconosco di nuovo la grande utilità del canto ecclesiastico» ((X 33).

ALLA TAVOLA DELLA PAROLA

            Ne è passata dell’acqua sotto il ponte dal tempo in cui - perfino ai seminaristi -la Bibbia era vietata o si raccomandava perlomeno di guardarsene, per prudenza. Ora, ecco la “lectio divina”, i corsi biblici, gli incontri per i lettori, i laici insomma con la sacra Scrittura in mano. La ‘cassaforte’ è stata dissigillata, grazie al Concilio Vaticano II che ha aperto un tempo sorprendente, in cui la Bibbia è potuta diventare in larga misura ‘il libro della Chiesa’ : «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia, di modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la parte più importante delle sante Scritture » (“Sacrosanctum Concilium”, n. 51). Cento e più sforzi sono stati fatti, mille sono ancora da compiere: ad esempio, per migliorare sia i commenti proposti dai libri che le proclamazioni fatte agli amboni; senza escludere la pazienza di vincere le ‘resistenze’ e le obiezioni a nuove traduzioni o letture e lezionari. Detto tra noi: è proprio vero che certe pagine bibliche - per la loro presunta ‘astrusità’ - sarebbe stato meglio non offrirle alla gente sulla tavola della Parola? Ma Dio è venuto a dirci delle cose ‘astruse’?


CELEBRAZIONE DELLA MESSA

Con una presentazione generica ma significativa, Plinio il Giovane (inizio II sec.) così definiva i primi cristiani: «Coloro che usano radunarsi in un giorno determinato». Come a quel “giorno determinato” vi si preparassero, non ci è dato di conoscerlo; quello però era il loro “Giorno”, il “Giorno dopo il sabato”, con il quale, celebrando il Signore risorto, hanno dato il via all’anno liturgico nel suo nucleo primordiale: la Domenica. Il cuore del “Giorno del Signore” era ed è la celebrazione dell’Eucaristia. Ci domandiamo, oggi, come dobbiamo arrivarci. Intenzionalmente il titolo di questa chiacchierata (non “prepariamo” bensì “prepariamoci”) vuole indicare una preparazione che va oltre le “cose” da fare: sono le “persone” che devono innanzi tutto predisporre se stesse, mentre predispongono tutto il necessario per una celebrazione degna del Dies Domini e, in esso, dell’Eucaristia. Preparare se stessi: è rendersi più pronti ad entrare in una nuova settimana, con il giorno di cui “non poter fare a meno” (come dissero i cristiani martiri di Abitene) e che apre un avvenire settimanale verso l’“ottavo giorno” intramontabile della Vita-del-mondo-che-verrà.

«VERSO IL POPOLO»

Non sono sopite le discussioni (e qualche polemica) circa la celebrazione liturgica “rivolta a”: rivolta a Dio, con il sacerdote presidente che volta le spalle all’assemblea; o rivolta all’assemblea, con il sacerdote presidente che ‘la guarda’. Non entriamo nel merito. Accenniamo soltanto che non è questione soprattutto di  corpo e di ‘spalle’ ma innanzi tutto di mente e di ‘cuore’: al Signore ci si rivolge “in spirito e verità”, sia personalmente che comunitariamente, comunque ci si ponga con il corpo davanti a lui, l’Onnipotente e il Presente. Tuttavia, una certa ‘riscoperta’ del corpo che partecipa alla liturgia - e alla liturgia come azione di tutta l’assemblea - ha suggerito una priorità, universalmente diffusa, quanto a postura del presidente dell’assemblea: la celebrazione liturgica «versus populum» (v. Ordinamento generale del Messale romano, n. 299). Leggiamo il paragrafo: «L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo». In riferimento poi alla sede del presidente: «La sede del sacerdote celebrante deve mostrare il compito che egli ha di presiedere l’assemblea e di guidare la preghiera. Perciò la collocazione più adatta è quella rivolta al popolo» (n. 310). Etimologicamente, “presiedere” significa “stare (seduti) davanti”.

PRESIEDERE L’ASSEMBLEA

          Sembra inutile dire che primo ‘esempio di preghiera’ nella liturgia è colui che la presiede: il celebrante. Dire ‘esenpio di preghiera’ è affermare pure ‘capacità di presidenza’. Ascoltiamo, innanzi tutto, due testimonianze. La prima è di Papa Benedetto XVI il quale, dialogando con i presbiteri romani, ha detto fra l’altro: «Celebrare l’Eucaristia vuol dire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se col nostro pensiero e col nostro essere entriamo nelle parole, che la Chiesa ci propone. In esse è presente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci prendono con sé sulla via verso il Signore. E come sacerdoti siamo nella celebrazione eucaristica coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera dei fedeli di oggi. Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera, se da esse ci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso a quelle parole.